Si fa presto a dire insetti. La maggior parte delle persone crede che i ragni, le scolopendre e i millepiedi siano insetti… nonostante il fatto che perfino i libri di scuola degli anni 50 sostengono l’esistenza di almeno cinque classi distinte di Artropodi. Tale classica suddivisione a compartimenti stagni, semplificata in Chelicerati (includenti gli Aracnidi), Crostacei, Millepiedi, Chilopodi e Insetti, viene infatti ancora presa come una classificazione consolidata da molti testi, in base a una serie di caratteri morfologici discriminanti, ad esempio il numero di zampe e di segmenti che le compongono, la presenza o assenza di antenne, cheliceri, pedipalpi e mandibole, la struttura dell’apparato respiratorio e di quello escretorio. Tuttavia, alcuni cambiamenti notevoli sono stati proposti nel Terzo Millennio, supportati dalle analisi molecolari e, paradossalmente, alcune di queste novità filogenetiche ricostruite con il DNA, ci riportano in qualche modo al guazzabuglio dell’antica (e antiquata) classificazione di Linneo del diciottesimo secolo. Ma andiamo per ordine.
Quando la nuova classificazione degli artropodi sarà diventata patrimonio culturale del popolo (o almeno della classe media), se qualcuno vi chiederà se mangiate gli insetti, sarà lecito e più o meno obbligatorio rispondere: “Sì ma soltanto i gamberi, le aragoste e i granchi”. Risposta quasi ineccepibile se pensiamo che già qualcuno ritiene corretto chiamare i crostacei con l’espressione “insetti del mare”. E non per ignoranza tassonomica, come potrebbe a prima vista sembrare, ma come suggerimento della sistematica molecolare che definisce, all’interno del phylum degli Artropodi, il grande raggruppamento dei Pancrustacea, che comprende più dell’80% di tutte le specie animali descritte. Al suo interno, il subphylum Esapodi (oltre un milione di specie principalmente terrestri, munite di un paio di antenne e sei zampe uniramose) rappresenta il sister group del subphylum Crostacei (circa 67.000 specie principalmente marine e dulcaquicole, con 2 paia di antenne e numerose zampe biramose).
In pratica, l’albero filogenetico più recente ci racconta che gli insetti sono strettamente legati ai crostacei, molto di più di quanto lo siano rispetto miriapodi (millepiedi e scolopendre), anche se questi ultimi condividono con gli esapodi un solo paio di antenne uniramose. Sembra che la riduzione nel numero delle zampe (da numerose a sei, negli esapodi) e la semplificazione delle antenne (uniramose in esapodi, miriapodi e alcuni isopodi) rappresentino adattamenti dei Pancrustacea alla vita terrestre, comparsi già alla fine del periodo Devoniano, circa 400 milioni di anni fa.
Alla fine, cosa c’entra il buon Carolus Linnaeus, che ha pubblicato la sua classificazione degli animali in cinque classi, già nel 1735, all’insegna delle somiglianze anatomico-morfologiche, senza nemmeno immaginare l’esistenza delle catene nucleiche a doppia elica o degli incroci fra piselli mendeliani, verdi o gialli, rugosi o lisci? Il naturalista di Upsala ebbe soltanto l’idea di raccogliere insieme tutti gli animali provvisti di un scheletro esterno suddiviso in parti (in-secta), da cui il termine cosmopolita “insetti”, il cui corpo può essere smontato e rimontato come un giocattolo meccanico. Alla luce della scienza attuale (anche se oscurata dai terribili incubi del nostro tempo), può essere rilassante pensare alle fatiche degli antichi zoologi per definire le somiglianze e le affinità fra gli animali. Così, rileggiamo con piacere la pagina in cui il nostro progenitore svedese (che sempre ringraziamo per l’enorme lavoro fatto) riunisce in una sola categoria “Aptera” esponenti di quelli che oggi sono ritornati rami vicini dell’albero della vita, sotto l’etichetta dei “Pancrustacea”: ad esempio, pidocchi, pulci, pulci di mare, isopodi, granchi, astici, paguri e cicale di mare. Andava bene, peccato che poi sia caduto in errore aggiungendoci un pizzico di scolopendre e una spolverata di aracnidi, che pancrustacei non sono. Tutti, comunque, rigorosamente Insecta.