Sembra che gli umani facciano di tutto per rendere sempre più difficile la comunicazione di massa, nonostante le migliaia di problemi che già ci sono. Ma questa volta non è colpa degli italioti ma degli anglosassoni che minacciano di perdere la disciplina terminologica anche loro. Infatti, la parola alien è comparsa già da molti anni nelle comunicazioni scientifiche internazionali per indicare, allargando il senso originario della parola stessa, le specie animali o vegetali che provengono da paesi diversi da quello in questione. Povertà di fantasia o timidezza dei comunicatori nel proporre parole nuove. Poi però non lamentiamoci se molte persone interpretano la parola “alieni” nel senso originario e credono veramente che si tratti di specie che provengono da altri pianeti. Gli scienziati europei preferiscono l’espressione “specie alloctone” da contrapporre ad quello preesistente di specie “autoctone”, prendendola in prestito dall’antropologia. In ogni caso, però, il significato di questi termini richiede sempre un chiarimento iniziale perché non è facile separare le due categorie senza definirle con precise convenzioni.
La biogeografia ha sempre trovato difficoltà nel differenziare le specie autoctone da quelle alloctone. Partiamo dalla definizione di specie autoctona, che innanzitutto è legata a un’area geografica oggetto di una discussione scientifica, e che in sintesi è la seguente: “specie che ha colonizzato l’area in oggetto con i propri mezzi di dispersione”; a complemento di questa, è la definizione di alloctona: “specie che ha colonizzato l’area in oggetto in seguito al trasporto o alle facilitazioni dovute all’uomo”. In pratica queste definizioni servono a indicare una tipologia importante di impatto antropogenico sulla composizione della fauna e della flora e valgono anche per i loro sinonimi più diffusi: specie indigena e specie aliena. In pratica servono a ricostruire la storia della globalizzazione della biosfera, uno degli impatti più pesanti sulla biodiversità, spesso trascurato dalla comunicazione mediatica sui temi ecologici.
Le fasi della globalizzazione individuabili nel corso della storia sono più o meno antiche. La prima potrebbe riguardare il flusso di specie di origine asiatica portate in Europa lungo la Via della Seta, tramite le carovane, e poi attraverso il Mediterraneo dalle carovane, e poi tramite la navigazione, iniziata già al tempo dei Fenici. Ma questa via riguarda poco gli insetti, a parte l’introduzione di Bombyx mori, la falena produttrice della seta che comunque non è mai riuscita a naturalizzarsi negli ecosistemi europei. La maggior parte delle altre specie di insetti, sono arrivati in Europa dalle Americhe e viceversa attraverso il commercio navale post-colombiano, a partire dal secolo sedicesimo (inizio del 1500). Il numero di specie scambiate reciprocamente fra Vecchio e Nuovo Mondo è aumentato progressivamente in base alla mole e alla quantità di prodotti importati e quindi con l’aumento delle dimensioni e dell’efficienza motrice delle navi. Inoltre, la colonizzazione europea dell’emisfero meridionale e i relativi commerci, hanno causato anche scambi di fauna e flora fra l’Europa, il Nord America e tutti i continenti fino all’Australia. La quantità di specie di insetti e piante trasportata e naturalizzata in questo modo è enorme e finora non è mai stato fatto un calcolo preciso. Per diverse specie (per esempio alcuni piccoli scarabeidi, come gli Ataenius) l’origine geografica è ancora dibattuta. Moltissimi insetti e altri vertebrati (ad esempio le bellissime planarie terrestri colorate del genere Bipalium) vengono trasportati involontariamente attraverso il gigantesco commercio delle piante ornamentali e alimentari in vaso, il cui terriccio contiene le propagule di moltissime specie animali e vegetali. Dal Terzo Millennio il numero di specie vegetali ornamentali oggetto di importazione in Europa e Nordamerica si è moltiplicato, soprattutto dal Sud America, dal Sud Africa e dall’Australia, aumentando il numero di “inquilini immigrati” fra cui turbellari, oligocheti, molluschi e artropodi (fra cui la maggioranza sono insetti), oltre a organismi microscopici (protozoi, tardigradi, rotiferi). Il numero di specie riportato dalle fonti è riservato ai taxa considerati dannosi e quindi molto sottostimato rispetto all’entità del fenomeno che riguarda l’inquinamento di massa della biodiversità e le conseguenze per le specie autoctone (estinzione per competizione o parassitismo con le alloctone). Gli esperti dell’IUCN che monitorano i cambiamenti nella composizione delle biocenosi hanno dichiarato che l’invasione delle specie aliene è la più grave minaccia per la diversità del Pianeta. La Terra rischia di diventare abitata da una sola comunità biologica, diffusa in tutti i continenti, formata da un basso numero di specie, altamente competitive, ubiquitarie ed euriecie, favorite dalla omogeneizzazione degli ecosistemi agrari intensivi e da un mosaico ridotto di foreste secondarie degradate.