La disinformazione e l’analfabetismo sull’argomento Insetti come cibo, impazza da tempo sui media.
I dati sull’evoluzione umana sono ben chiari: noi apparteniamo ai Primati, un ordine di mammiferi che comprende circa 500 specie di proscimmie, scimmie e ominidi. Insieme a questi parenti, noi condividiamo l’alimentazione onnivora a base di sostanze vegetali e animali con diverse proporzioni a seconda della specie. Molte popolazioni umane che vivono nelle foreste tropicali consumano svariate specie di insetti, soprattutto larve di lepidotteri e coleotteri, più o meno abbondanti in certi periodi dell’anno. Invece, per i popoli che vivono in ambienti più aridi o semidesertici, gli insetti consumati più importanti sono alcuni ortotteri (cavallette e grilli) che compaiono con il doppio ruolo di calamità naturali e di risorse stagionali. Con il lento passaggio dall’economia di caccia-raccolta alle forme più progredite di agricoltura e allevamento intensivi, gli insetti sono stati spesso dimenticati o sostituiti con piatti più sofisticati o comodi da gestire, e soprattutto più gustosi. Eppure, insetti e altri invertebrati (fra cui ragni, scorpioni, anellidi e lumache… ogni tanto ritornano, affacciandosi nelle cucine urbane per diversi motivi: crisi economiche o climatiche, mode passeggere, curiosità turistiche, opportunità di guadagno per imprenditori in cerca di innovazione, ecc. Gruppi formati da nutrizionisti, economisti e imprenditori, suggeriscono anche di aggiungere gli insetti al mercato alimentare di massa, a fianco degli invertebrati marini molto apprezzati nelle società occidentali, come i crostacei e i molluschi. I loro consulenti sostengono inoltre che le specie di insetti selezionati come target sono ricchi di nutrienti e possono essere facilmente allevati in laboratorio.
Il dibattito è tuttavia aperto su questo fronte, dove si incontrano opinioni favorevoli e contrarie, da molti punti di vista, prevedendo fra l’altro: minacce di conservazione per diverse specie; sottrazione in massa di risorse dagli ecosistemi e conseguente impoverimento delle catene alimentari; rischio di allergie alimentari e di zoonosi; possibili deficit di nutrienti nella alimentazione umana; crollo di aziende produttrici di cibi convenzionali; esplosione di illegalità nel commercio e difficile tracciabilità per taxa di importazione; conseguenze varie dovute a errori tassonomici; produzione di ibridi negli allevamenti e fuga di questi in natura; spaccio di individui raccolti in natura (wild) al posto di individui nati in cattività (captive), ecc.