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Come tutti i giovani mammiferi nel corso del loro sviluppo, anche noi umani siamo abituati a registrare i segnali acustici o visivi emessi dai genitori durante i percorsi quotidiani della nostra infanzia. In particolare, sono soprattutto i segnali emessi dalla madre quelli che rimangono impressi nella nostra memoria e vengono ricordati insieme all’immagine o all’odore dell’essere vivente che ha scatenato quelle reazioni. Le madri sono le prime e fondamentali educatrici dei cuccioli umani, così come avviene nei giovani cervi, lupi, cinghiali e scoiattoli. Alla radice delle sensazioni che proviamo vedendo un grosso scarabeo, una villosa sfinge, un ragno, uno scorpione, un rospo o un serpente, riemergono le reazioni (spesso negative) di nostra madre, che a sua volta ha ereditato culturalmente gli stessi segnali negativi dalle nostre nonne, bisnonne e trisavole. Così diventiamo adulti ma spesso conserviamo sentimenti di paura o diffidenza alla vista di certi animali oppure proviamo ribrezzo nei loro confronti, come succede in generale verso tutti gli insetti. Tutto ciò può avvenire senza aver fatto una reale esperienza ma solo in base ai segnali genitoriali ricevuti. Le reazioni negative delle educatrici e di eventuali educatori quando presenti, trovano sicuramente origine in un antico approccio difensivo o competitivo nei confronti degli altri animali, e hanno la funzione di mettere in allarme i piccoli da eventuali pericoli. Tuttavia, in una società in cui il rapporto con gli animali selvatici è ormai distrutto dal processo di urbanizzazione e industrializzazione agricola, i genitori (cittadini o rurali che siano) brancolano nel buio dell’ignoranza più grassa sulla reale pericolosità o dannosità degli animali e quindi emettono continui segnali di allarme, generalmente inutili, creando nel bambino uno stato permanente di diffidenza e repulsione. È il caso dei nostri rapporti con molti invertebrati di cui la maggioranza delle persone non ha conoscenze attendibili.

Le grida acute di spavento, i gemiti di sgomento, i versi di ribrezzo verso certi animali considerati pericolosi o che semplicemente somigliano a questi, vengono dunque appresi durante le nostre prime esplorazioni dell’ambiente, come pure nel corso di una narrazione fiabesca o durante lo sfoglio di un libro illustrato in braccio alla madre. Una volta diventati grandi, memori di queste esperienze tramandate, ci arroghiamo di affermare con sicurezza che le nostre reazioni sono innate, e diciamo: “fin da piccolo ho sempre provato una sensazione istintiva di schifo per i grilli” come se fossimo certi di una determinazione genetica dei nostri comportamenti negativi nei confronti di certi animali. Invece, molte esperienze moderne dimostrano che i bambini hanno una naturale dimestichezza con qualsiasi animale e una tendenza innata a esercitare la curiosità per esplorare il mondo. 

Se un genitore o un nonno, con un adeguato livello di conoscenza della natura, avvicina un insetto a un bambino con serenità e fermezza, facendolo camminare sulle proprie dita e poi sulle sue, le risposte del bambino saranno certamente caute ma aperte all’esperienza. Tale approccio disteso permetterà al bambino di imparare a usare quella bestiola come un giocattolino meccanico per diversi secondi, imparando a scoprire la realtà, purché il genitore stia attento che il gioco avvenga nel pieno rispetto di quella fragile vita animale.

Molte civiltà forestali, pastorali o contadine hanno superato la paura e la diffidenza, scoprendo perfino le potenzialità di certi insetti come risorse alimentari (vedi la voce Insetti Commestibili). Tuttavia, date le piccole dimensioni degli insetti, l’uso di essi come cibo è risultato conveniente soprattutto quando certe specie compaiono in grandi quantità di individui, tutti insieme e nello stesso tempo: ad esempio, larve di lepidotteri saturnidi tropicali che scendono tutte insieme dalla pianta nutrice, e si dirigono verso il suolo per impuparsi; oppure, ortotteri acrididi migratori che compiono invasioni di massa in certi territori, ecc. Tuttavia si è trattato sempre di risorse episodiche, che non promettevano una disponibilità continua di cibo e quindi rappresentavano solo un’integrazione alimentare stagionale.

Da un punto di vista economico, più che un rapporto utile a livello alimentare, gli insetti sono stati spesso visti come dei “parassiti” della società umana in quanto dannosi alle sue coltivazioni. Tale verdetto d’accusa è sempre stato viziato da una prospettiva umana basata sull’esistenza del danno subito da una certa specie ma senza una proporzionata difesa che mettesse in evidenza l’utilità che quella stessa specie o altre, o meglio l’intera comunità entomologica, rappresentano per l’agricoltura. In pratica: decisa la colpevolezza di una specie mangia-foglie si decide di scaricare pesticidi o ceppi di batteri killer non selettivi che uccideranno non soltanto la specie target ma una moltitudine di altre specie. Una strage quindi anche di specie che si nutrono della dannosa mangia-foglie, che con il tempo avrebbero contribuito a ripristinare un equilibrio all’ecosistema agrario. Invece, la storia finisce che sterminati gli insetti in un podere, questo rimarrà privo anche di tutti gli insetti predatori, i piccoli uccelli insettivori, lucertole, gechi, rospi e raganelle, cioè tutti i veri alleati dell’agricoltura che consumano una grande quantità di insetti. In pratica, ci comportiamo come se per punire i ladri di biciclette si mettesse ai ferri l’intera popolazione urbana che utilizza le biciclette come mezzo di locomozione.

Altri esempi di rapporti economici a beneficio dell’uomo sono quelli fondati sull’allevamento dei bruchi produttori di seta, che fecero fiorire la più antica industria della civiltà cinese poi trasmigrata nel resto del mondo, e quello che sfrutta la cocciniglia della lacca, originaria della regione indomalese, per produrre sia il colorante rosso che il polimero detto gommalacca, largamente usato anche nell’industria odierna.

Tuttavia, i veri benefici che gli insetti portano all’uomo sono di ben altra portata e per niente riconosciuti dalle superficiali prospettive dell’economia umana, ancora priva dei necessari corridoi mentali che dovrebbero legarla all’ecologia. Gli insetti sono le colonne portanti degli ecosistemi naturali e agrari, svolgendo ruoli importantissimi come impollinatori e disseminatori delle piante, controllori della vegetazione terrestre e acquatica, decompositori delle sostanze organiche in eccesso, fabbricanti di humus, nonché risorse alimentari per moltissime specie animali che senza di loro si estinguerebbero lasciando all’estinzione tutta la fauna vivente. Continuiamo a usare il condizionale per conservare una visione ottimistica del futuro. Purtroppo però molti indizi di rarefazione delle specie di insetti e dei loro predatori diretti (uccelli, pesci, anfibi, piccoli rettili e piccoli mammiferi) ci stanno indicando che le biocenosi terrestri e d’acqua dolce si stanno impoverendosi e migliaia di specie hanno iniziato il loro declino a causa delle attività umane. L’agricoltura intensiva, la scomparsa della pastorizia e dei corpi idrici superficiali, il consumo e la cementazione del suolo, la captazione diffusa dell’acqua dalle falde idriche, l’uso di pesticidi e di strumenti di lotta biologica non selettiva, e tanti altri fattori di impatto antropogenico sull’ambiente, sono le cause della perdita di biodiversità, insieme alle cause naturali che concorrono ai cambiamenti climatici in corso. Di tutto ciò gli insetti sono indicatori biologici che gli entomologi specialisti, professionisti e dilettanti che siano, usano anche involontariamente attraverso le prove fornite dalle loro osservazioni sul territorio e le loro occasionali raccolte di campioni, che insieme formano un’enorme banca dati, ma che vengono impropriamente dette “collezioni”.